Il Cairo

 

Questa foto di gruppo invece è stata fatta al Cairo e ha persino un nome: Voilet e amiche. Chissà chi era Voilet e perché ci fossimo fatti fotografare con le sue amiche. Io ho ancora il velo etiope sul capo, Gianfranco ha un berrettino bianco e la barba nera, Giulio tiene il suo, di berretto, in mano sfidando il sole. Di fotografie come queste ne ho trovate tante, nella scatola dove ho messo anche una parte delle diapositive. Incontri che allora ci erano sembrati così importanti da farci sacrificare una fotografia – allora fotografare era costoso – e poi presto dimenticati. Fotografie del genere venivano di solito scattate per accontentare la persona appena incontrata, che ci aveva ospitato anche per poco, ci aveva raccontato qualcosa, aveva bevuto con noi un tè, qualcuno insomma con cui – come diceva Gianfranco – avevamo “fatto amicizia”. Quell’effimera amicizia valeva pure uno scatto. Di solito il nostro amico o l’amica del momento prima della foto andava a chiamare qualcun altro – vedi le amiche di Violet – perché partecipasse dell’onore di farne parte e potesse approfittare dell’occasione per concedersi la vanità di un proprio ritratto, sia pure in un gruppo. Erano tempi in cui una macchina fotografica era un oggetto prezioso e farsi fotografare, in paesi come il Sudan, un lusso che ci si permetteva raramente. Anche noi del resto eravamo avari con le foto fatte a noi stessi, che infatti sono rarissime. Non ci eravamo messi in viaggio per ritrarre noi stessi, ma per vedere altri luoghi e altra gente: questa era l’idea di fondo. Un’idea che, nel mezzo secolo che è passato da allora, è diventata piuttosto obsoleta. 

 

 

Luxor

 

In attesa di ritrovare le altre fotografie che attestino il viaggio del 1973, quest’unica foto di tre del gruppetto. A fotografare era, come sempre, Mariola che si portava appresso in ogni viaggio una borsa con dentro due macchine fotografiche Exacta, una per il bianco e nero e una per le diapositive. Era un peso notevole: solo un grande amore per l’arte della fotografia poteva farle affrontare e sopportare quel continuo disagio. Le pellicole in bianco e nero erano allora considerate più nobili di quelle a colori, perciò Mariola, giustamente, non voleva rinunciarci. A giudicare da questa fotografia – i tre turisti disfatti dal caldo e la fatica – si direbbe che c’era del vero in quella convinzione: la severità delle statue gigantesche severamente in grigio si ripercuote sui tre seduti ai loro piedi e li fa sembrare meno banali. Vi immaginate la stessa fotografia fatta oggi con il cellulare?