Pakistan 2013


BLOG DAL PAKISTAN


Karachi, 14.02.2013

Jihad contro San Valentino

Il giorno del mio arrivo a Karachi c’è un’esplosione di cuori rossi. Grappoli ovunque, mazzi di palloncini che galleggiano nell’aria densa d’umido e di smog. Li incontri sui marciapiedi, a ogni incrocio, lungo le strade; ti svolazzano intorno con la loro impudica scritta: “Love, ti circondano, ti inseguono petulanti e se non chiudi in fretta il finestrino te li trovi dentro la macchina. Love is in the air. Ma non tutti sono d’accordo su tanto sfacciato sfoggio di cuoricini: c’è chi ha dichiarato la jihad a San Valentino. Enormi cartelli bianchi, con un cuore nero e la scritta “No” compaiono minacciosi su quelle stesse strade, sopra gli stessi incroci. Citazioni di saggi islamici avvertono: plaghe e malattie mai viste si abbatteranno tra gli immorali. Chi avrebbe mai immaginato che esili palloncini rossi facessero tanto danno? Un cuore occidentale, che di solito ignora ricorrenze come questa, adesso s’intenerisce. Che i cuoricini possano staccarsi dal polso che li tiene e coprire di rosso il cielo opaco di Karachi, prima che giunga l’uomo barbuto con lo spillone a farli esplodere!  



Karachi, 15 – 17 febbraio 2013 

I tre giorni della letteratura

Sono stata invitata per presentare Kuraj e lo faccio in compagnia dell’Ambasciatore d’Italia, Adriano Chiodi Cianfarani. Un vero onore! Ci sono i vip, come Themina Durrani e Edhi Abdul Sattar, il pendant islamico di Madre Teresa: lui e sua moglie dal nulla hanno fondato una possente organizzazione di soccorso medico gratuito che si allarga in tutto il paese, fornito di un servizio di ambulanze, aerei, centri di soccorso, cliniche, case per malati di mente. In Pakistan è notissimo, la gente è venuta per vederlo e gli si affolla intorno. Ispira il rispetto delle persone che uniscono la coscienza del proprio valore alla semplicità; ha lo sguardo attento di chi, oltre a essere un santo, è anche una persona che la vita pratica la conosce, eccome, e sa sia che cosa vuol dire essere povero, sia come si amministra il denaro. Il festival della letteratura di Karachi è soprattutto una grande kermesse. Il pubblico più colorato e divertente è sistemato un po’ a parte dietro grandi tendaggi colorati, ed è un pubblico variopinto di bambini che dipinge e guarda entusiasta un programma di burattini.



Karachi, 18.03.2013

La protesta degli sciiti

Anche al Festival della letteratura di Karachi c’è stata una protesta: “I am shia kill me” c’è scritto sulla guancia di uno sciita. Sono uno sciita, uccidimi. La protesta si perde nell’atmosfera carica di addii di fine evento, ma la notizia del massacro ha provocato uno strappo nel velo festoso che sembrava proteggere i tre giorni della letteratura. 

I muezzin hanno appena finito di chiamare i fedeli alla preghiera della sera. Nel Luxury Beach Hotel regna oggi una calma inconsueta. L’unico rumore è quello delle pale del ventilatore, sopra di me. Fuori, sulle palme, finalmente le cornacchie tacciono.


Karachi, 21-25 febbraio 

La città e la storia

Ci sono personaggi strani in questa città confusa e paranoica, dove l’unica bellezza sono le donne nei loro veli e la gente che incontri e ti sembra ingiusto che debbano vivere in un posto che sembra invece ignorare ogni bellezza. I colori di Karachi! Il bazar, le strade, i camion, tutto è una festa di colori, quasi si cerchi con questi semplici mezzi di far da contrappeso alla bruttezza grigia degli edifici. Ma se ci si lascia alle spalle la città e ci si addentra nella valle dell’Indus, si incontrano la magnificenza delle antiche tombe (a Chaukhandi) ornate di maioliche azzurre e sculture e, più lontano,  i resti trascurati dell’antica Thatta.  



Lahore. 25.03.13 

All'Hotel Fort View

Samuel scuote la testa costernato. In quale albergo sono andata a cacciarmi? Chi me l’ha prenotato? Gli cito la mia autorevole guida (Lonely Planet), ma lui non la conosce e poi non si fiderebbe lo stesso. Anche in lui si accende immediatamente lo spirito cavalleresco: deve assolutamente salvarmi dai pericoli che mi minacciano (agguati a scopo di rapimento), vuole prenotare per me una camera al guesthouse del collegio delle fanciulle nella parte per bene della città (sono appena riuscita a seminare il Direttore del Protocollo che mi aveva prenotato il Continental!). Quando capisce che preferisco il mio Hotel Fort view, non esita a parlare di me come della “mad italian writer”. E poi l’albergo è lontanissimo (se si va in macchina: in rickshaw sono solo quindici minuti dal Center of Arts dove si tiene il Literature Festival of Lahore). Ma io, cocciuta, sorseggio il mio tè al latte godendomi la vista del Vecchio forte di Lahore, davanti alla vetrata della mia camera, che non è una qualunque camera d’albergo, ma arredata apposta per la luna di miele. E’ infatti sontuosa: ricchi tendaggi di broccato, grandi mazzi di fiori (finti), decorazioni moghul in gesso color bronzo, ma il non plus ultra sono le pareti: l’imbianchino ha aggiunto alla tinta verdina una manciata di brillantini: sembra che uno sciame di lucciole si sia posato sulla vernice fresca rimanendoci appiccicato. E poi il servizio è impeccabile. Al mattino mi portano su un piatto di ceramica un rotolo di carta igienica rosa e me lo offrono con un inchino. Mentre ero sulla terrazza decorata - vista stupenda sulla città e sul forte – un cameriere mi ha portato su un piatto due bracciali di fiori. E che dire del proprietario dell’hotel che è venuto apposta, mi ha chiesto quanto volevo pagare per la camera, mi ha accordato i prezzo senza discutere e mi ha fatto portare una cena offerta da lui? Mi ha visto alla televisione, mi ha detto, al Literature Festival di Lahore. Sono di certo ancora più salita nella sua stima. Gli chiedo che professione faccia. Solo quella, mi dice, manager del suo albergo. “La vita è troppo breve, conclude, per avere più di una professione”. Come immaginare che persone tanto sagge e gentili di colpo si trasformino in una banda di sequestratori? 


Lahore, 26.03.2013

Festival della letteratura

Il festival della letteratura di Lahore è più serio, meno colorato e brillante di quello di Karachi, in compenso più intellettuale e con contenuti più chiaramente politici, come quelli scritti sulla lavagna bianca. E' un ottimo luogo per conoscere gente. Io faccio la conoscenza di Samuel, cristiano pakistano, e di Saniya che mi invita alla festa del Milad.


Lahore, 28.03.2013

Al santuario del santo Data Ganj

Saniya che gentilmente mi accompagna nella sua Corolla bianca, ovviamente guidata dall’autista, non sa quanto siano affollate le vie al nord della città. Stupita - come tutti - che io abbia scelto un albergo ai margini della città vecchia, mi domanda: “Perché stai così lontano? Ma se là non c’è nessuno!” 

Nessuno? E la folla che attornia il santuario dedicato al santo sufista Data Ganj (undicesimo secolo)? E tutto questo formicolio, questo movimento incessante, questo ondeggiare di veli e camicie, questo instancabile affaccendarsi intorno a qualche cosa per vendere – elastici, forcine, pettini di plastica, collane di fiori– cucinare, rimescolare tè e latte, infornare i chapatty, mangiare? Ma dove andrà a dormire questa folla, chi sfamerà così tanta gente, come fa a contenerla una sola città? I poliziotti onnipresenti, in maglioncino blu, uniformi attillate e baffoni si sono costruiti una specie di trincea per controllare la marea, ma come farebbero a trattenerla in caso di necessità? E tutto questo è “nessuno”? 



Lahore, 28.02.2013

La danza matta nella notte sufista 

Per un errore di comunicazione mi sono persa il canto “sufista” (il quiwwali), ma non voglio perdermi la notte matta al centro sufista. Per non avventurarmi di sola di notte cerco un accompagnatore. Hafiz, il proprietario dell’albergo, mi mette a disposizione Shafcat che è già il mio cameriere personale. Con gli occhialini, il maglioncino blu e i pantaloni europei color beige, Shafcat, ha ventiquattro anni, ha l’aria di un collegiale timido.

Arriviamo al centro sufista in uno dei tanti momenti di blackout, ma il cortile è illuminato da lampade a petrolio e dai lampioncini dei joint accesi. L’aria è a tal punto densa di hashish che dopo poco mi gira la testa come se fumassi anch’io. Tutt’in giro uomini seduti in circolo per terra; nel mezzo quattro o cinque danzatori*** già ballano al ritmo di un tamburo. Ognuno balla per conto proprio, ma i gesti sono simili e la danza sembra segua una coreografia: ora scuotono la testa facendo girare i capelli, ora saltano con le ginocchia piegate, come satiri, ora muovono le braccia come se imitassero marionette di legno. Uno di loro si tiene sempre con la mano l’orecchio destro… A tratti un danzatore si stacca e incomincia a girare su se stesso, sempre più veloce, una vera trottola, il tamburo lo incalza, gli spettatori fremono, lo incitano, gridano “Jalala!”, si entusiasmano, molti scuotono la testa pure loro - i joint fanno il loro effetto - un altro si alza, avanza nello spazio libero, comincia a ballare, a girare, un altro ancora, ma non si scontrano, non vanno a finire tra gli spettatori, non perdono l’equilibrio, e terminata la trottola continuano senza fare una pausa, per quasi tre ore. Un uomo con barba bianca e capelli radi si unisce ai danzatori: le lunghe maniche del kamiz svolazzano a ogni giravolta, balla come i giovani, come il ragazzo in una strana tunica viola, il più invasato, instancabile, gli occhi socchiusi, il viso sudato. Gli altri non indossano abiti particolari, portano camicia e ampi pantaloni color nocciola e bianchi, quelli di tutti giorni. Lasciamo il centro sufista verso mezzanotte. C’è una luna enorme, l’aria è fresca, ma io ho addosso un inconfondibile odore di fumo. Grazie all’hashish fumato passivamente, cado in un sonno profondo.



Lahore, 27.02.2013

Sessanta signore festeggiano il Milad 

L’Eid Milad un- Nabi è la festa del compleanno del Profeta. Sulla data (come su molte altre cose) sunniti e sciiti non vanno d'accordo: i primi la festeggiano il giorno che per noi è il 25 febbraio, i secondi cinque giorni dopo, ma Saniya che m'invita alla sua celebrazione privata appartiene al ramo sunnita, come la maggior parte dei pachistani. Mi viene incontro in un completo shalwar kamiz color verde limoncello e mi spiega che questa è solo una delle - non so più se cinque o sei - case in cui vive. E' arrivata due giorni fa dal Dubai e proseguirà giovedì per il Bangladesh. Il marito è commerciante di tessuti, mi dice, non so di preciso che professione faccia lei, perché sul suo biglietto da visita ne sono elencate tre. Il pavimento della grande sala è rivestito di lenzuoli bianchi, come in una moschea; tutt'intorno alla sala sono disposti comodi cuscini che Sonija ha affittato per l'occasione. Cominciano ad arrivare le sessanta signore. Che sfoggio di abiti! Che colori! Che ori! Ci si sistema e arriva la "cantante", se così si può chiamare la signora che canterà le lodi al Profeta. Ha una bellissima voce, ma la musica è pressoché uniforme e ha un effetto stupefacente: a poco a poco le signore cominciano a chiudere gli occhi e a oscillare con il busto. Alla preghiera segue la cena, ottima ed elegantemente servita. Le signore si accomiatano e alle otto ci sono ormai solo poche intime intorno alla padrona di casa che finalmente si rilassa.



Lahore, 5.03.13

In giro per Lahore

Per andare da Naila, filosofa sufista,  devo attraversare Lahore, un percorso disperato, in risciò, ma anche in macchina è un’avventura lunga e noiosa. Ma faccio una scoperta: a Lahore c’è una metropolitana sopraelevata nuova di zecca (l’hanno inaugurata tre settimane fa), solo che non c’è nessun cartello a indicarla e appunto perché sopraelevata nessuno vede dal basso le due meravigliose corsie completamente riservate agli autobus rossi. Ci vado subito. Non c’è nessun cartello orientativo, in compenso un’infinità di addetti in divisa ti insegnano tutto. Funziona a gettone e costa 20 rupie (circa 18 centesimi); per procurarseli ci sono due file separate, una per gli uomini e una per le donne, come dappertutto, così come due zone per aspettare il bus; sugli autobus rossi la zona davanti è riservata alle signore ed è affollata di donne e bambini, ma non è niente in confronto alla parte per gli uomini (la rigida separazione dei sessi ha i suoi vantaggi); ricevo molti sorrisi e da sotto una tunica nera mi arriva un complimento: “You are beautiful!”. Non mi era mai capitato che qualcuno mi dicesse una cosa simile sulla metro di Milano e neppure su quella di Monaco. 


Wagah, 02.03.2013

Cerimonia dell'ammainabandiera ai confini con l'India

Ci si arriva in bus, trenta chilometri a est di Lahore. E' una specie di minuetto postcoloniale quello con cui le due nazioni un tempo unite poi tragicamente separate, ammainano le loro bandiere ad ogni calar del sole. Arrivano comitive, scolaresche innalzano la bandiera pakistana, la capocoro intona "Pakistan zindabad", lunga vita al Pakistan. Dopo l'apparizione di diversi drappelli di soldati in fogge museali, il cancello viene aperto, i soldati delle due nazioni si stringono la mano e finalmente si ammainano le bandiere. Ogni sera, dal 1948. 


Bahawalpur, 6 marzo 13

Le ragazze dell'ostello per lavoratrici 

Se non avessi fatto il viaggio da Lahore a Bahawalpur in bus non avrei mai incontrato Asma e di conseguenza neppure le ragazze dell’ostello per lavoratrici. Asma lavora per il MEDA (Mennonite Economic Development Associates) che promuove progetti per le donne dei villaggi; quello in cui lavora lei si occupa di ricami. Si offre di mostrarmeli al bazar.

Ci andiamo insieme a Mariam; ci addentriamo tra i vicoletti, Asma sa dove trovare i kamiz ricamati (più che ricami sono applicazioni di brillantini, pietre dure e specchietti); alcuni, bellissimi, sono appesi ben in vista, sembrano abiti per principesse. Altri sono piegati e il negoziante di turno spiega tutto quello scintillio di specchietti e colori davanti ai nostri occhi. Ci sono anche ricami più sobri e io non resisto alla tentazione e compro due tagli ricamati. Ora ho bisogno di un sarto che mi confezioni i kamiz shalwar. Per capirci bene: la lunga “camicia” generalmente aperta sui fianchi si chiama appunto kamiz che è un termine arabo, mentre i pantaloni stretti alle caviglie si chiamano shalwar, che è una parola persiana. Poi c’è la sciarpa, la dupatta multiuso che si può mettere sul capo oppure lasciar pendere sulle spalle. Il sarto si dice disposto a confezionare i due shalwar kamiz per il giorno dopo, le ragazze mi prendono accuratamente le misure (che risulteranno poi un po’ abbondanti). Si discutono il modello, la lunghezza di camicia e pantaloni, la forma della scollatura, e si fissa il prezzo (500 rupie, 4 euro per abito). Infine torniamo all’ostello. 

Nel deserto del Cholistan, 3-5.03-2013

Suhail, il mio autista personale, traspira abbondantemente nella sua uniforme azzurra, ma non ci rinuncerebbe mai, anche se di certo starebbe più fresco con una chamiz, come i suoi compatrioti. È un simbolo di professionalità. In compenso io tengo i finestrini spalancati anche se la macchina si riempie di polvere. Suhail è cerimonioso, discreto, mi fa da paladino per i due giorni in cui da Bahalwalpur ci spostiamo nel Cholistan, mi farà conoscere la sua famiglia, la moglie dagli occhi dolcemente strabici e le due figlie. Sono giorni infuocati, ma ne è valsa la pena. Uch Sharif è magnifica - il mausoleo di Bibi Jawindi ti riporta a Samarcanda -, il forte di Derawar è imponente. I personaggi che si incontrano per strada sono perfettamente intonati con il paesaggio. Belle e intelligenti le scolarette che tornano a casa. 

Bahawalpur,5.03.2013

Una città sorprendente

Nella vita bisogna avere delle amiche, soprattutto se si viaggia da sola in Pakistan. Io ho Asma e Azesha che mi invitano nel loro ostello per una cena lunghissima da preparare perché manca spesso la luce e il generatore di corrente funziona male. Alla fine mangiamo riso e chapati su un letto che fa anche da tavolo. Parliamo di lavoro e fidanzati (incontri solo virtuali, le sere all’ostello delle lavoratrici le sere si passano chattando). Passeggiare si può solo sull’ampia terrazza che però di giorno è una fornace, perciò si “passeggia” solo al crepuscolo. Asma e Ayesha mi proteggono: salgono con me sul risciò perché non torni a casa da sola. Grazie a loro conosco la sartoria dove, oltre agli abiti, si decorano le mani. Ma anche l’autista, Suhail, è diventato “mio amico” e mi fa conoscere la sua bella famigliola. Quando riuscirà a mettere insieme un po’ di soldi cambierà casa, mi dice. Insomma, immaginiamocelo in una casa più bella. 

A Bahawalpur c'è una biblioteca, eredità coloniale, che è un tempio alla lettura, piuttosto deserta al confronto dei luogho di culto, che sono invece sempre piuttosto affollati.

Multan, 7.03.2013

Mattoni vecchi e nuovi

Multan, nel basso Punjab, città di origini antichissime, ha un aspetto desolato. Persino il bazar manca di gioia. I luoghi di preghiera sono ben frequentati: è una città dove si prega molto. Mausolei e ancora mausolei. Piastrelle e decorazioni in mattoni.

 

Ma io voglio vedere l’antichissima Harappa, una delle città più fiorenti nella valle dell’Indus. Per farlo bisogna andare a Sahiwal, scendere, prendere un pulmino stracarico di gente e farsi portare davanti all’entrata del sito archeologico di Harappa. Il luogo è tutto per me, cioè, lo sarebbe se non fossi seguita passo a passo da una guardia armata. Per la mia sicurezza, mi dice quando dopo un po’ glielo chiedo. Dall’alto di una collina di Harappa vedo la ciminiera di una fabbrica di mattoni. Fermo un risciò al volo e mi ci faccio portare.  I mattoni hanno lo stesso colore rossiccio dei resti di Harappa e spiccano sui campi di frumento, verdissimi.  

 

Il paese dei camion a sonagli

Al truck workshop i camion si portano non per ripararli, bensì per decorarli. Arrivarci non è facilissimo, nonostante le dettagliate istruzioni - beyond the Rajah Bazaar Railwaj a Rawalpindi. Take the Ganj Mondi Road from Fowara Chowk, along the tonga Stand, left over the bridge, 5 min. along this road. Per fortuna l’autista ci si raccapezza.

 

Le decorazioni sono le stesse con cui un tempo si addobbavano i cammelli, con la differenza che i camion vengono anche dipinti. Al truck workshop i pittori specializzati nella speciale pittura da camion, tutt’altro che a buon mercato, sono molto fantasiosi, ma non aspettatevi di trovarci donnine svestite, come avverrebbe da noi, se ci fosse l’uso di dipingere fuori i giganti della strada: i camion pakistani sono molto pudibondi, come tutto il resto del paese. Invece delle ragazze del calendario abbondano i paesaggi alpini, verdissimi e ricchi d’acqua. Quando si attraversa il sud del paese, color sabbia e ocra, non si ha difficoltà a capire il motivo per questa predilezione. I colori se li portano dietro i camion. r

12.03.2013

Islamabad e dintorni

Ci sono ancora luoghi di cultu indì sparsi qua e là, abbandonati, gli affreschi scoloriti o graffiati, immagine dell'incuria. 

Mi lascio convincere da Stella, amica cristiana, a una visita alla scuola cattolica, lontanissima da Islamabad e alle miniere di sale, anche se non amo molto il turismo in miniera. Sono interessanti invece e proprio perchè attraggono il turismo locale.

A Rawalpindi il direttore della Mary's High School mi ha mostrato orgoglioso i nomi di personaggi importanti che sono usciti dalle vecchie mura della scuola fondata nel 1927. Oggi la frequentano tra maschi e femmine 3000 ragazzi. In Pakistan, le persone che contano hano frequentato tutte una scuola cristiana. Quelle locali, musulmane, sono per le classi più povere. 


La muraglia cinese pakistana 

La fortificazione di Rainikot si arrampica per 24 chilometri lungo i fianchi delle montagne al confine con il Baluchistan: è una vera e propria muraglia cinese pakistana, ma non si sa a quali nemici volesse sbarrare la strada. Dall’alto la steppa deserta sembra il deserto dei tartari.  

Moen- jo- Daro è la più antica città del mondo e la meglio conservata di quelle costruite nella valle dell’Indo 4000 anni prima di Cristo. I resti in mattoni rossi sono più recenti di 1500 anni, ma è difficile con una fotografia rendere l’impressione di quelle strade e resti di case in mattoni rossi, così simili in fondo ai villaggi che ho incontrato per strada.

Il cagnetto di Moen-jo- Daro l'avrei portato volentieri con me, se solo avessi avuto un po’ di spazio nell’Invicta… 

On the road 

Il super high way è la metafora tangibile di questo paese, dove i pericoli si affrontano con una scrollata di spalle e un’invocazione ad Alla.  Lo si può constatare sulla superautostrada del tutto priva di segnaletica che collega Karachi a Lahore e a Islamabad e viene percorsa, oltre che dalle bianche Corolla e dai fantasiosi camion a sonagli, da carretti tirati da asini e cammelli, da risciò stracarichi, da trattori carichi di giganteschi sacchi di foraggio, da motociclette e biciclette, senza parlare degli animali e dei pedoni che a ogni passo attraversano la strada. L'unica regola che viene rispettata da tutti è quella di andare avanti, sempre, instancabilmente, superando a destra o a sinistra, comunque sia. Inutile dire che il manto stradale è sconnesso e l’asfalto mancante in più punti, eppure lo stato, che dovrebbe curarsi della manutenzione della superstrada, pretende a ogni passo un obolo neanche così piccolo. 

A questo punto è giusto ricordare gli amici che mi hanno aiutata, ospitata e consigliata o semplicemente accompagnata per qualche giorno in Pakistan: a loro vanno  il mio ricordo e la mia gratitudine. Ecco alcuni di loro:  

Lorenza Raponi di Roma, al festival della letteratura di Karachi, Pietro Lauretta, docente all'università di Karachi a cui devo l'invito al festival della letteratura di Karachi, Samuel Ray, insegnante a Lahore, Saima Tiwana, che mi ha invitata alla festa del Milad in casa sua, le due ragazze dell'ostello a Bahawalpur, Adriano Chiodi Cianfarani, ambasciatore d'Italia in Pakistan, Stella John, insegnante alla scuola cristiana di Rawalpindi, Durdana Soomro, che mi ha invitata nella sua magnifica casa di Karachi a un pranzo raffinato, e infine Giuliana Franceschini che con il marito,  console italiano a Karachi, mi ha ospitata nella sua casa.